Big Time: fortissimamente Fortis

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Se Steve Jobs fosse stato un musicista, e avesse avuto i Natali a Milano, il suo nome sarebbe Alberto Fortis.
Si, perché il cantante lombardo eguaglia/eguagliava il compianto  “visionario di Cupertino” per genio e creatività, ma anche per il carattere bizzarro, fino a rasentare la misantropia.
Non è strano che a me, romano, piaccia la discografia di Fortis, specie quella giovanile: “ti dirò”, “due file”, “qui la luna”, “la grande grotta” e tante altre. Briose, struggenti, poetiche: ammaliavano il pubblico con l’efficace semplicità dei testi;  alcune di esse apparivano brutali, arrivando al dileggio, pur di non passare inosservate.
Come non dimenticare la hit sul perfido Vincenzo (“Milano e Vincenzo”), verso cui Fortis introiettava il rancore per la “gens romana”.
Quelli che comandano (“ma guardatevi, a dottori! Siete molli come i fichi..” strofa di un’altra celebre canzone) venivano dipinti dall’artista, come inutili e lontani: un grido di dolore motivato dalla residenza delle case discografiche a Roma, che non offrivano contratti o opportunità.
Da qui, in forma di provocazione, nasce il biasimo di Fortis verso la Capitale, riuscendo a regalare agli ascoltatori delle sincere risate (quante volte, collocazione geografica a parte, ci siamo sentiti perseguitati dal Vincenzo di turno?).

 

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Nasceva un casus belli. Non tutti coglievano l’ironia: le provocazioni del cantautore (cosa buffa, simili alle invettive lanciate negli stornelli trasteverini) mandarono su tutte le furie chi non aspettava altro che questo.
La storia racconta (nel senso che si narrava l’episodio, wikipedia non era nemmeno in essere) che Fortis all’apice del successo, pubblicate le canzoni su una certa romanità, dovesse far promozione nelle radio della Capitale.
Ebbene, giunto da Milano a Roma in aereo, fu bloccato da un tizio della casa discografica, che, nervosissimo, lo convinse a riprendere seduta stante il primo volo per Milano.
Lì a due passi, fuori dall’aereoporto, si aggiravano 4 picchiatori (all’epoca così erano chiamati i fascisti) volevano “dare una lezione” al cantautore, reo di mettere alla berlina stereotipi e conformismo.
A distanza di 15 anni la Lega Lombarda, su quelle canzoni, costruì una piattaforma elettorale, stravolgendo la protesta personale di “a voi Romani” in un ideologia razzista e populista.
Da sottolineare che Fortis non è mai stato leghista, ha sempre preso le distanze da Bossi e co., e questo gli fa onore e merito.
Il suo modo di inveire -spiegò ai fans sul libretto del cd “L’uovo”- impersonificava un “mal di pancia” esistenziale, e non un bieco progetto antimeridionalista.
Come il geniaccio di Cupertino, cacciato dall’azienda che lui stesso aveva creato, la Apple, il cantautore scontava -nel bene e nel male- il saper anticipare mode e tendenze.
Oggi è Marco Mengoni a ricevere la palma del dissacratore, del cercatore di strofe “matte”. C’è da augurargli più fortuna di Alberto Fortis, che non siano mille “Vincenzo” a sbarrare la strada. Quando c’è talento, c’è voglia di fare,  loro si mettono di traverso, “troppo stupidi per vivere, troppo stupidi per amare”.

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