La famosa “primavera araba”

::cck::139::/cck::
::introtext::

Qualche dissennato la chiama così: primavera araba. Un momento/movimento, a detta di alcuni, in cui la religione islamica si spoglia del fondamentalismo e si rilancia nell’economia, nella politica, nel dialogo tra le religioni.
In realtà è una primavera simile ad un inverno ghiacciato, in cui più che una brezza tranquilla si viene investiti da una tormenta gelida, da accapponare la pelle.
Come accade in Arabia Saudita.

 

::/introtext::
::fulltext::

In Arabia Saudita il Ramadam, rito islamico della durata di un mese, è obbligatorio per tutti. Si, obbligatorio.
O ti sta bene, o te ne vai. O segui il precetto islamico (nota bene: anche se di fede islamica non sei) oppure rischi multe e prigione.
Immaginatevi se anche qui, culla del pensiero giudaico cristiano, applicassimo lo stesso obbligo: manipoli di Sacerdoti e Rabbini, a caccia del fedele (e del non fedele) per costringerlo ad andare in Chiesa o al Tempio. Come minimo Amnesty International lancerebbe la più grande campagna mediatica per violazione dei diritti umani; come minimo Gino Strada aprirebbe ogni 500 metri una sede di Emergency, per sanare improbabili ferite spirituali; come minimo ci penserebbe direttamente l’Iran, lanciando una testata nucleare, per purificare l’onta subita.

 

Naturalmente noi non siamo come loro. Viva Dio ognuno può scegliersi la religione che più gli piace, oppure liberissimo di non sceglierla.
Nutro rispetto per Allah, i suoi devoti; ma se invece di parlare di fantomatiche primavere, i governi si impegnassero nell’attivare principi di libertà elementare, sarebbe un gran passo per tutti.
L’obbligo del “Ramadam per mussulmani e non”, nasce proprio dalla secolarizzazione dell’Europa, travolta da una caccia alle streghe contro la fede Cristiana.
Strappare Gesù dalla società civile, non ha portato più libertà o maggiore possibilità di scelta. Ha aperto la porta ad imam scatenati che non aspettano altro che imporre la loro religione sulla nostra.
Ora sta a noi: sottometterci o provare a difenderci.

::/fulltext:: ::cck::139::/cck::