Recensione di “Apache”

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Avevo in mente la recensione di Apache, appena uscito dalla sala, era scritta dentro la mia testa.

Non accade sempre: quando un film è profondamente espressivo, è come se si raccontasse da solo, senza lunghe riflessioni. Apache ha il dono dell’immediatezza.

La notizia che in Italia il film è stato messo al bando, perché di bando si tratta, quando si applica il bollino del “vietato ai minori di 14 anni”, pone un contraccolpo che va a cambiare il giudizio non sulla storia, ma su come i messaggi siano stati recepiti.

Il film è la cronaca di una estate “sazia e disperata” della gioventù in Corsica, tra feste, sballi e alcol.

C’è da chiedersi perché abbia meritato il severo divieto del “VM 14 anni”, quando nelle sale circolano pellicole volgari, sessualmente esplicite, dai contenuti violenti. Lì la scure della censura è assente.

Il sabotaggio, se di sabotaggio si può parlare, è a causa di una visione esistenziale, che si legge dentro Apache.

Gli adulti del branco, nel film, non sono assenti. La comunità marocchina, di cui fanno parte alcuni ragazzi, va in moschea e si confida con l’imam. E’ solida nelle tradizioni e nella dedizione al lavoro.

Sembra che i giovani Aziz, Hamza, alcuni nomi dei protagonisti, allontanandosi dalla religione e assaporato il relativismo, sprofondano in un vuoto, fino a mettersi l’uno contro l’altro.

Forse è questo lo scandalo destato dal film: la facilità con cui i giovani smarriscono se stessi, se smarriscono la curiosità verso Dio.

La commissione esaminatrice, per bollare Apache come vietato ai minori, forse è spaventata non dalla crudezza dell’epilogo, ma dalla fragilità con cui i giovani vengono dipinti, un crescendo di rabbia, fino all’abbraccio con i fucili.

La storia accade in Corsica, potrebbe essere dappertutto, tanto che ricorda specularmente un film capolavoro, chiamato “Alpha Dog”. Siamo in California, anche qui il branco decide chi è colpevole e chi è leader, chi deve vivere e chi deve pagare un prezzo altissimo. Una storia di alcol, feste, ragazze e droga: stesso copione, stesso destino.

I ragazzi che desiderano valori ma non li trovano, si trasformano in lupi e scelgono la filosofia “gangsta”. Uccidendo i loro simili, diventano più soli.

Alcuni critici hanno paura di affrontare il disagio adolescenziale, invece di far emergere una domanda, quella domanda che potrebbe rimettere in gioco l’io, boicottano storie che riguardano i ragazzi.

Una parte di società preferisce imprigionare i nostri figli nell’edonismo, che dare spazio alla loro inquietudine.

Un angosciante grido d’aiuto che, a causa della misura restrittiva del “vietato ai minori”, non è stato né accolto e né compreso.

Mostrare come una compagnia, luogo di crescita e esperienza, possa trasformarsi nella distruzione dell’altro, è una lezione indimenticabile, per questo Apache dovrebbe essere giudicato, da tutti, senza moralismi totalizzanti.   

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