Recensione di “No – I Giorni dell’arcobaleno”

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Avete voglia di scoprire come si vince una campagna elettorale? Quale strategie adottano i guru della pubblicità per guadagnare consenso?

Se la risposta è affermativa, benvenuti in Cile, nell’anno 1998. Nel film “No – l giorni dell’Arcobaleno” vivremo tra la dittatura di Pinochet e la sfida di un referendum nazionale, in cui si gioca il destino del Paese.

Il popolo deve scegliere: Si o No. Ossia se sono d’accordo al proseguo della politica dei militari (pro Pinochet), oppure la rifiutano, optando per la democrazia.

Come vediamo nel film, il voto che sembra certo per la dittatura, poiché i suoi sostenitori utilizzano la violenza e coercizione, sorprende tutti. La maggioranza del popolo Cileno si schiera per il No, travolgendo qualsiasi exit poll.

Il film costituisce un inno alla libertà, che non corrisponde ad un desiderio di diritti, piuttosto ad una strategia comunicativa eccellente, in chiave pubblicitaria.

Non è improprio classificare la pellicola come “docu-film”, tanto minuziosa è l’analisi che si fa sulle ragioni del si e del no. Sulla differenza di approccio nell’accaparrarsi il consenso.

Perché scegliere il No alla dittatura, visto che Pinochet anche se fosse uscito sconfitto, non avrebbe mai riconosciuto il risultato? Come invogliare l’elettore a scegliere la democrazia, se mai in vita sua l’aveva sperimentata? Come far capire alla gente che scegliere il no avrebbe portato il Cile fuori dalla repressione?

A queste domande Rene Saavedra, pubblicitario di successo, avrebbe dato una soluzione, trattando la politica come un prodotto. Affrontando la campagna referendaria, come uno spot della coca cola.

Oggi chi si cimenti nel giornalismo o si occupi di comunicazione, dovrebbe dare priorità alla visione di questo film. Diamo per scontato che i partiti considerino la pubblicità, un mezzo di persuasione, un opzione possibile e vincente. E’ fantastico sapere che in Cile con il referendum si è creato un esperimento paradossale: il marketing da motore per espandere il desiderio, diventava la ragione stessa per votare NO.

Le aggressioni e la ferocia dei militari passano in secondo piano, perché Rene Saavedra, divenuto capo della campagna per il No, inizia a mostrare in tv non più il reale (la brutalità della dittatura) ma un sogno alla portata di ciascuno: una vita allegra, canterina, bellissima.

Come dire: votate no e otterrete un Cile da favola.

Due emozioni contrastanti attraversano i protagonisti del film: gli avversari non prendono sul serio la campagna per il No (“Con quel metodo non riusciranno mai”, è la frase ricorrente).

Gli amici di Rene invece rimangono scioccati, fino quasi a preferire di perdere il referendum, che utilizzare spot così forzosamente gioiosi (“Perché il popolo Cileno dovrebbe riconoscersi in questa finzione?”).

Una girandola di immagini fatti di pic nic, gente felice, bambini che corrono tra prati fiabeschi era lo spirito ricorrente degli spot mandati in onda.

L’inoculazione del bisogno di libertà diventa identico al bisogno di bere una bibita gassata: se sei libero, sei vincente; se vuoi la libertà la vita ti sorride. Come la coca cola: messaggi subliminali che vengono saccheggiati dall’immaginario consumistico, per un pubblico eterogeneo.

Verso la fine la storia si tinge di giallo, Rene subisce intimidazioni: con il pedinamento, la violazione del domicilio, l’intelligence di Pinochet gli fa capire che è pronto ad ucciderlo, in qualsiasi istante.

Le conseguenze di un ostinata voglia di cambiare il Paese travolge creativi, artisti, la gente che assiste ai comizi per il No, nonostante i militari massacrino di botte chi aderisce alla sfida contro la dittatura.

Ma ormai è troppo tardi, le urne decretano la vittoria del No, la vittoria della democrazia.

“No – I giorni dell’arcobaleno” racconta lo stupore della gente verso un altro tipo di vita, che non sia imprigionata dall’ordine brutale. E’ di ammonimento perché dimostra, aldilà delle buone intenzioni, quanto sia facile plasmare i gusti dell’individuo.

Se siamo soliti ritenere la politica un cruogiolo di opinioni discordanti e opposte, la domanda che viene sbattuta in faccia è: “Crediamo veramente in qualcosa di concreto, oppure siamo alla ricerca di ciò che accenda un sogno personale”? Nello scegliere come simbolo l’Arcobaleno, i partiti che volevano il No, non presentarono progetti o programmi, ma usarono un immagine che li contenesse tutti. Nell’arcobaleno la gente avrebbe visto non quel che era, ma quello che gli piaceva immaginare.

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