Silent Hill – 2

Una decisa provocazione su spiritualità e ateismo, di come possano coinvolgere l'immaginario di chiunque ci si accosti
Una decisa provocazione su spiritualità e ateismo, di come possano coinvolgere l’immaginario di ognuno di noi.

Difficile definire Silent Hill: un gioco? Un film? Una (simbolica) dannazione dell’essere?

Dopo secoli di percorso fantastico, dove pittori e poeti hanno immaginato l’ascesa e la discesa dell’essere umano, le inquietudini del tempo sono state narrate, fino a quando -negli anni 90- grazie al genio visionario di Keiichiro Toyama, prende vita l’icona Silent Hill.

Su S.H. si potrebbe scrivere all’infinito, e non scherzo. Sarebbe bello che qualche teologo, o esponente della Chiesa, guardasse a questo mondo, speculare al nostro, che polverizza le icone ever green “fuoco, diavoli e forconi”.

Su Youtube è disponibile un documentario della National Geographic, che affronta il concetto che l’uomo ha del giudizio divino: se le religioni sono in linea di massima, d’accordo sull’esistenza del Paradiso (cioè la presenza di Dio), la possibilità che esista una meta oscura è fonte di mille diatribe.

L’ultima parola aspetta a due delle religioni principali: il Cristianesimo, che con la sua speranza di salvezza rende l’uomo autodeterminato (sei tu a decidere se ricongiungerti con Dio); e l’ateismo, che propone di spostare l’attenzione non su Dio (lo rifiuta) ma sul nulla, inteso come fine di tutto. Qualunque azione tu scelga, credono gli atei, la meta finale è la morte.
Nota bene: l’ateo si dichiara non-religioso, eppure è convinto talmente dei suoi dogmi, che l’ateismo può considerarsi senza dubbio una religione.

Il problema è identico: quale Cristiano -invece del Paradiso- sceglierebbe fuoco e tormenti, di propria volontà?

Quale ateo  -invece della vita terrena- aspirerebbe alla fine di tutto, al nulla eterno?

Silent Hill scardina il concetto di destinazione, inteso come aldilà. Prende a calci l’ateismo, ironizzando sui suoi luoghi comuni (il simbolo di come accada tutto per caso, è un cagnolino che muove le leve, uno dei possibili finali del gioco).

è chiamato "dog ending", una metafora dell'assenza di bene e di male, tutto accade per caso
è chiamato “dog ending”: una metafora dell’assenza di bene e di male. A decidere è il caso

E accende una riflessione per il cristiano, sul pericolo di una spiritualità soggiogata all’inconscio (in cui sogni e deliri fanno da padroni).
Per addentrarci meglio nel tema, riprendiamo il cammino; continuate a seguirmi! 😀