Spleen

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I tedeschi lo chiamano così.

Spleen, ossia la nostalgia, il mal di vivere, la malinconia che a volte accade. Irrompe.

Mi ha stupito l’ultima SdC di Don Julian Carron, che ha posto il problema, ribaltandolo.

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Ognuno di noi, purtroppo, passa momenti di tristezza. E nella parola tristezza potrebbe essere coinvolto il proprio mondo personale: lavoro, casa, salute, educazione dei figli, ecc.

Normalmente si “tira dritto”, oppure “si stringono i denti”, milioni di metafore che la mente, come un mantra, si ripete.

L’errore non è colpevolizzarsi se la tristezza assale, piuttosto impegnarsi per arginarla, fino a metabolizzarla.

Lo stupore che ha destato in me, il ragionamento di Don Carron, è il seguente: quando lo “spleen” attanaglia, oltre a sforzarci di superarlo, dobbiamo vedere in esso la presenza di Cristo.

Mi sono sentito provocato.

“Ma come?” riflettevo “Se per un attimo mi sento giù, QUELLO è decisamente il momento in cui sono solo, in cui lo Spirito Santo non è attivo ed è lontano”.

Don Julian ci ha invitato a considerare una cosa del tutto nuova: Sono proprio quegli istanti, quei minuti, quelle ore, che ci permettono di considerarci “viventi”.

Prima di tutto, riconoscendo la sofferenza come un male necessario, si può riprendere il cammino, senza paura.

Eseguito ciò, dobbiamo soffermarci sull’opportunità che Cristo ci offre: permettendoci di sperimentare la noia, la tristezza, la malinconia, VUOLE dimostrarci che qualunque vita è imperfetta. Qualunque vita (dall’imprenditore di successo, fino al clochard) è toccata dalla mancanza di una PRESENZA.

L’opportunità è abbracciare Cristo, non solo per migliorare i giorni presenti, in un mondo stritolato dal potere, ma per ambire a tornare “viventi”. Non è facile, perché piangere lacrime dal cuore fa male. Bisogna alzare gli occhi umidi di pianto, e prendere quella mano lì, che vuole sorreggerci e ricordarci il principio: non siete mai soli.

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