War Horse

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Scrivere su un film di Steven Spielberg?
Un impresa, se consideriamo anche solo la filosofia che sta dietro ogni sua storia.
Messaggi di forza, di redenzione, di coraggio, costruiti attorno ad una cornice sempre fantastica, fantasiosa.
Una capacità evocativa che non è mai banale, mai retorica. Spielberg è il peter pan del cinema: colui che rende reali i sogni e fa tornare gli spettatori bambini.
E’ così si finisce per guardare un film sull’amicizia, “War Horse”, ultima fatica spielberghiana, e tifare per un cavallo, commuoversi per il suo destino, vibrare per il trionfo finale.

 

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Come in tutti i films del maestro, da evidenziare in negativo c’è poco o nulla. A trovare il pelo nell’uovo, forse una certa prolissità (l’inizio è molto narrativo e la pellicola ha una durata di 3 ore) ma ciò è dato dalla qualità delle riprese: panorami lunghi e sconfinati, introspezione sul muso del cavallo, per catturare le tante espressioni.
Ecco la magia del regista: far diventare Joy, il nome del cavallo, un attore a tutti gli effetti, nell’impersonare momenti di ira, affetto, determinazione ecc ecc. (sono stati scritturati ben 13 cavalli che si calassero negli stati d’animo di Joy).
Se cercate una bella (bellissima) storia di amicizia tra uomo e animale, guardate questo film. Dimenticatevi i Rin tin tin, i Furia o i Lessie.
Il dominatore di War Horse, non offre numeri da circo, è un cavallo vero, che con un cuore grande affronta la guerra.
Nel tetro scenario del primo conflitto mondiale, Joy saprà resistere e combattere, nel segno di un alleanza stretta con Albert, il suo giovane padrone.
Più forte della guerra, è lo sguardo tra i due, che rischiando ripetutamente la vita, credono che l’amicizia sia un valore da condividere, trasmettendolo ai soldati dei rispettivi eserciti, in lotta tra loro.
Spielberg, con la storia di Joy, ricorda quanto sia bello essere “irriducibili”, credere in noi stessi; perchè abbracciando dei valori forti, non esiste nemico o ostacolo che può fermarci. Proprio come un cavallo da guerra.

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